È trascorso più di un mese da quando sono partita da casa. Sebbene io quel passo lo avevo già compiuto più di 5 anni fa, e sapendo quanto quel “atto di coraggio” mi aveva cambiata e mi aveva resa felice, provavo un certo nervosismo. Ero più nervosoa di cinque anni fa. Non so perché. Forse per la situazione generale, piuttosto instabile e tesa. O forse perché io stessa non ero disposta a rinunciare a certe comodità e certezze … Insomma: vivere da nomade in un fuoristrada … Mi sono promessa di essere sempre onesta con me stessa e di non forzare le cose se non dovessero funzionare (anche con/per Dimitri).
Ho trascorso solo pochi giorni nelle Alpi ticinesi e grigionesi. Posti assolutamente bellissimi, ma le strade sono molto trafficate e non si ha quel senso di ‘natura selvaggia’. In Ticino avevo chiesto a un guardiacaccia se potevo fermarmi nella foresta per un paio di notti. “Sei da sola? Certo, non vi sono problemi. Solo in estate non lo permettiamo”.
Mi installai in un posticino davvero incantevole, quando … rifiuti, pannolini in sacchetti di plastica e carta igienica ovunque. È davvero così difficile non lasciare tracce? Il comportamento di questi maiali colpisce anche i campeggiatori che sanno come comportarsi … Ero furiosa.
In Italia non ho visto molto delle Dolomiti. Nebbia, pioggia battente e vento. Conosco un po’ la regione ed ero pronta a destreggiarmi con la mia macchina fotografica come non mai, ma niente … un vero peccato. Ecco perché in questo post non vi sono molte foto. Anche la sera non è sempre stato facile trovare un posto dove passare la notte. La stagione per molti campeggi era praticamente finita e stavano chiudendo tutti.
Un gruppo di campeggiatori mi suggerì di passare la notte alla fattoria di Hans, nell’Alto Adige. “È un posto incantevole, con una vista meravigliosa e Hans è cooosì gentile”. E così feci, mi recai da Hans. Hans era davvero adorabile, coni suoi occhi verde-acqua sorridenti. Mi sono sentita subito benvenuta.
“Hans ho un gatto, è un problema?”. Il suo volto divenne serio. “Uuuh sì, è un problema”. Rido, pensando che stesse scherzando. “Blacky ha già ucciso diversi gatti. Non li sopporta proprio” e mi indica un bellissimo Labrador dal pelo nero lucido e dagli occhi dolci. “Quello zuccherino è un assassino?”. “Sì. Puoi restare, ma – e fissandomi dritta negli occhi – prenditi cura del tuo gatto. Non voglio che muoia”. Ok, no, no, no. Nessuno di noi aveva bisogno di tutto quello “stress”.
Gli chiesi se sapesse dove avrei potuto passare la notte senza incappare in problemi o dare fastidio a qualcuno. Si strofinò il mento: “Mmmm… potresti chiedere a Ube… noi lo chiamiamo Otzi“, ride. Otzi? Per la testa mi balena l’unica immagine che io associo ad Otzi. Sì, proprio questa immagine:
“Oh poveretto! È malato?”. (Che idiota che sono). Lui ride: “No, no, è solo molto “speciale“… vedrai. Vedi quell’edificio lassù? Vai lì e chiedi di Ube”.
Ero quasi nervosa all’idea di incontrare Otzi. Un ragazzotto dalla pronuncia incomprensibile mi farfuglia qualcosa. “Wie bitte?” Mi indicò una giungla di cespugli. Una voce si alzò: “Chi mi cerca?” ed eccolo lì, uscire dalla vegetazione, Otzi.
Un uomo alto più o meno come me (160 cm), occhi azzurri come il ghiaccio, barba e capelli folti grigi. In testa un cappello da cowboy in pelle. Indossava un gilet composto da molte pezze in pelle. I suoi jeans erano ricoperti da uno strato di sudicio. Le mani tozze, anch’esse sporche, erano quelle di qualcuno che aveva lavorato duramente per tutta la vita. Capii subito cosa intendeva Hans. Ube non era solo “speciale“. Ube era (è) un vero personaggio. Lo sguardo era quello di chi ha vissuto molto. Con orgoglio mi mostrò dove e come viveva. In simbiosi con la natura. La yurta (la sua casa). Il forno costruito con il fango. La “veranda” del tè. Le figure intagliate nel legno. I campi di mais. Le oche … Mi permise di passare la notte nella sua enorme tenuta, nella foresta.”Che lavoro fai?”, mi chiese. “Sono una geologa”. I suoi occhi si illuminarono: “Ma allora sai come trovare l’acqua!” … e qui iniziò il circo.
“Beh, sì, la geologia si occupa anche di acqua – idrogeologia”. Gli risposi. “Vieni con me! Vieni!” mi disse e mi portò in mezzo ad un prato: “Qui c’è qualcosa! Lo senti? Fai così!”. Allargò le braccia con i palmi rivolti verso il terreno e iniziò a muoversi in tondo molto lentamente. “Lo senti?”.
In quel momento capii cosa stava accadendo. Ridere era fuori luogo. Ube era estremamente serio e mi dispiaceva veramente rovinare il suo entusiasmo … così lo imitai. Io e Otzi. In mezzo al prato, a sondare il terreno con i palmi delle mani. “Se i miei colleghi mi vedessero!!!”, mi concentrai per non ridere. “Senti l’energia? O forse hai bisogno del bastone?”. Stavo morendo dentro.Cercai di essere il più delicata possibile: “Ube, mi dispiace ma non sento nulla. Credo che ci voglia una spiccata sensibilità per queste cose”. Lui non si arrese: “Vieni qui! Senti! Lo senti?” … Perlustrai il terreno intorno a me con le mani: “Mmmm no. E tu Ube, senti qualcosa?”. Silenzio … “No, anch’io non sento niente” e scoppiamo a ridere. “Sai Ube, io mi occupo più di “rocce” che di idrogeologia”. Vidi la delusione sul suo volto, ma in un certo senso salvai un po’ la situazione.
Mi raccontò molte storie. Di guerra. Di prigionieri russi. Della sua famiglia. Frugò disperatamente in una scatola. “Eccola! Guarda. Sono io”. Era così orgoglioso. “Mi vestivo da Otzi nelle occasioni speciali del paese, più che altro per i bambini, sai?”. La foto ritrae un giovane Ube, vestito interamente di pelli e pellicce, adornato da accessori e strumenti come quelli ritrovati sulla famosa mummia … Otzi. Grazie Otzi, mi hai lasciato un bel ricordo.
Un abbraccioStef